Cosa ci fa un viestano nelle zone terremotate d’Abruzzo?
Scene di desolazione e di disperazione mista a rassegnazione sono state il “leit motiv” della mia esperienza nelle zone terremotate come esperto nell’emergenza sismica per i8l rilievo del danno e l’agibilità dei fabbricati interessati dal sisma che ha colpito l’Italia Centrale. Un’esperienza che se fossi stato più giovane con ogni probabilità mi avrebbe cambiato la vita. Per questo ho accettato di dare il mio contribuito professionale volontario sia come professionista sia come presidente di un’associazione di volontariato, quando sono stato convocato dalla Protezione Civile Nazionale per il tramite del Consiglio Nazionale degli Ingegneri. Non ho voluto indossare la divisa che mi hanno dato, ho preferito indossare la mia divisa sociale in cui dietro le spalle campeggia la scritta “Motoclub Gragano Vieste”. Certo l’emergenza ora è superata, le strade in qualche modo sono agibili, le case distrutte rimangono vestigia di aggregati una volta pieni di vita, ma ci sono ancora molte costruzioni i cui abitanti o fruitori non conoscono ancora il loro destino e rimangono in una sorta di limbo in attesa che qualcuno gli dica se la loro casa è agibile o se devono andare via. Mancano gli esperti volontari ed i Comuni non possono assumersi “sic et simpliciter” tali incombenze. Ma cosa potevo rispondere a quella bambina in lacrime che tirandomi per la giacca mi diceva: “Signore, ti prego, non farmi andar via dalla mia cameretta”, o a quella signora che viveva in uno sparuto gruppo di case di una frazione montana che mi raccontava di aver perso il marito un mese prima del terremoto e che viveva miseramente con la pensione di reversibilità del marito e senza un aiuto di nessuno e che non sapeva dove andare se avessi decretato inagibile la sua povera dimora? O ancora a quella mamma di tre figli di una casa di campagna dove vivevano allevando le “Chianine” , che poi ho appreso essere delle mucche, che disperata mi diceva che avrebbe comunque lasciato le evidenti lesioni sui muri della sua casa ma di lì non si sarebbe mossa perché non sarebbe riuscita a sfamare i suoi tre figli? Cosa avrei potuto rispondere con uno stato d’animo di compassione inquinato dalla responsabilità della mia professione? Spero solo che da noi non succedano mai simili disastri…