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Max Gazzè: “Felice di aver portato la leggenda di Vieste oltre i confini del Gargano”

La classifica di questa settimana gliel’hanno sussurrata in un orecchio appena finita la diretta web nella redazione de Il Giorno e la prima espressione di Max Gazzè è stata quella dell’artista che, a dispetto dei dischi d’oro e di platino appesi alle pareti, riesce ancora a stupirsi di se stesso. La settima piazza nella graduatoria degli album e la seconda in quella dei vinili la dicono lunga sull’attenzione che continua a circondare “Alchemaya”, l’album “sintonico” in cui il musicista romano racchiude la fortunata sintesi tra musica classica, prog ed elettronica portata in tour la scorsa primavera col supporto della Bohemiam Symphony Orchestra di Praga.
Max, tra i singoli “zumpa-zumpa”, come li chiama, che l’hanno incollato ai vertici delle hit-parade e “La leggenda di Cristalda e Pizzomunno” portata al Festival il passo è lungo.

«Con mio fratello Francesco stiamo sempre attenti che le canzoni possano mantenere una caratteristica nel suono della parola e nell’architettura del linguaggio. E pure la cosiddetta canzone ‘zumpa-zuma’ è ricca di assonanze, di rime interne, che trasformano il testo in filastrocche memorizzabili come suono a prescindere dalla ‘vestizione’ e degli arrangiamenti. Francesco è molto bravo con le parole e quello che scrive è già musica, io mi limito ad un lavoro di arrangiamento, orchestrazione, strutturazione».

La leggenda di Cristalda e Pizzomunno è seducente.

«Quando durante il Festival m’hanno informato dell’intenzione della Municipalità di Vieste di conferirmi la cittadinanza onoraria, ho saputo che pure Dalla era rimasto affascinato da questa leggenda e aveva manifestato l’idea di scriverci sopra prima o poi un testo. Mi ha colpito il fatto di averlo scoperto proprio nei giorni in cui Ron cantava all’Ariston una sua nuova canzone. Avrei tanto voluto regalare a Lucio questo disco, in cui sviluppo tematiche di cui eravamo soliti parlare davanti ad un bicchiere di vino».

Soddisfatto?

«Sì, innanzitutto per aver portato una storia così bella fuori dai confini del Gargano, ma anche per essere riuscito ad inserire la canzone all’interno di un’orchestrazione in sintonia con la veste sinfonica dell’intero disco. Sono soddisfatto anche della mia interpretazione; sicuramente migliore di quella del 2008, quando ho cantai ‘Il solito sesso’ quasi un semitono sopra. Come altri colleghi, ho la sensazione di aver vissuto un’edizione del Festival particolarmente riuscita e questo mi rende felice».

Cosa pensa che rimanga nella gente di un’opera strutturata e complessa come “Alchemaya”?

«È un album in due parti; la prima un’opera ispirata ad una serie di racconti nati dalle curiosità che ho coltivato nell’ultimo trentennio e l’altro con mie canzoni del passato riarrangiate in forma orchestrale. I brani della prima parte non sono certo fruibili come gli altri eppure, sera dopo sera, mi sono reso conto che era proprio quella su cui il pubblico concentrava maggiori attenzioni. Suggerirei di ascoltare tutta la prima parte dell’album di seguito. Il secondo atto, infatti, è più ‘libero’ arricchito da tre inediti fra cui quello di Sanremo».

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