L’esame esterno del corpo, eseguito dal medico legale intervenuto sul posto, non aveva però consentito di escludere alcuna ipotesi sulle cause della morte, e per tale ragione, in attesa di responsi definitivi da più approfonditi esami autoptici, i Carabinieri intervenuti, da subito coordinati dalla Procura della Repubblica di Foggia, avevano avviato le indagini partendo dalla peggiore delle ipotesi, e cioè che si fosse trattato di un omicidio, tese quindi ad identificarne autori e movente, ad iniziare dal sopralluogo e dalla ricerca e repertamento di ogni elemento potenzialmente utile, affidato alla Sezione Investigazioni Scientifiche del Comando Provinciale.
E’ così iniziata un’autentica “maratona investigativa”, che ha impegnato insieme per tre giorni consecutivi, senza tregua, Magistrato e Carabinieri, in interrogatori, perquisizioni, riscontri e verifiche delle dichiarazioni ricevute da tutte le numerose persone sentite, direttamente o indirettamente coinvolte nella misteriosa vicenda.
La tempestività dell’azione e l’impetuoso impegno di tutti gli investigatori già nelle prime fasi dell’indagine, togliendo il tempo ai responsabili di crearsi alibi, trovare accordi e credibili circostanze che potessero allontanare da sé i sospetti, sono risultati risolutivi. Ancor prima che gli esami clinici sul cadavere confermassero le tracce di violenze letali, PM e Carabinieri avevano infatti già individuato una serie di incongruenze nel racconto di un primo sospettato, nei cui confronti già nella prima mattina dell’8 la Procura della Repubblica aveva quindi emesso un decreto di Fermo del PM, poi convalidato dal G.I.P. del Tribunale. Il primo a finire in manette con l’accusa di omicidio è quindi stato Wasik Damian Pawel, connazionale, coetaneo e collega della vittima, e anch’egli già con diversi precedenti penali.
Il primo risultato positivo a fronte di tanti sforzi era quindi stato raggiunto, ma c’era qualcosa che a PM e Carabinieri ancora non tornava.
Interrogatori, ulteriori approfondimenti e nuovi riscontri sono stati fatti, nonostante il lavoro stesse durando ormai da più di due giorni, fino ad arrivare all’individuazione del correo, Hodorowicz Dariusz Kazimierz, 31enne, anch’egli bracciante agricolo di nazionalità polacca e già noto alle Forze dell’Ordine. Anche per lui, nella notte del 10 il Sostituto Procuratore della Repubblica ha quindi emesso un decreto di Fermo, anche questo puntualmente poi convalidato dal G.I.P..
I due, tuttora detenuti, sono ritenuti responsabili di concorso nell’omicidio di Prefeta Artur Dawid ed avrebbero, secondo le risultanze investigative, agito per futili motivi, scatenati dal duro carattere della vittima, definito addirittura come “dispotico”, che voleva creare, e di fatto sarebbe effettivamente riuscito nell’intento, un “assoggettamento” di tutti gli operai a sé.
Le indagini, condotte con l’ausilio, come già detto, di personale della S.I.S. del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Foggia, nonché, durante le numerose perquisizioni eseguite, dei Carabinieri dello Squadrone Eliportato Cacciatori Sardegna, hanno consentito di rinvenire, a poca distanza dal luogo del delitto, almeno una di quelle che gli investigatori considerano le “armi” utilizzate per l’omicidio: un martello “batticarne” con le facce in metallo. Il personale specializzato ha, poi, rinvenuto, nella roulotte in uso ai due arrestati, sempre all’interno del citato capannone, un paio di pantaloni con evidenti tracce ematiche, probabilmente appartenenti al defunto. Tutti i reperti sono stati inviati per le successive analisi al R.I.S. di Roma.
I Carabinieri del Nucleo Sommozzatori di Pescara, intervenuti questa mattina, su disposizione della Procura della Repubblica di Foggia, per ispezionare il fondale della vasca irrigua presente nell’azienda agricola teatro dell’omicidio del cittadino polacco Prefeta Artur Dawid, vi hanno rinvenuto lo spezzone di un grosso cavo elettrico, che non si esclude possa essere stato utilizzato dai due sottoposti a Fermo del PM per strangolare, dopo averla tramortita con il batticarne, la vittima.
Il materiale recuperato verrà, insieme agli altri reperti, inviato al RIS di Roma per verificarne l’eventuale presenza di tracce utili alle indagini.
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