Il concorso, indetto dall’I.I.S. “Giustino Fortunato” di Rionero in Vulture (PZ), promosso dall’ADI (Associazione di Italianisti) che, attraverso i membri del direttivo, se ne fa curatrice scientifica, patrocinato dall’Ufficio Scolastico-Regione Basilicata e, dal 2010, dal Senato della Repubblica e dalla Camera dei Deputati, si pone come finalità il recupero e lo sviluppo degli esiti della ricerca del meridionalista Fortunato in chiave contemporanea ed è annoverato da Miur tra le migliori competizioni scolastiche che promuovono le eccellenze.
“Binari della storia: arrivi e partenze”, il tema del progetto di quest’anno, ormai alla sua XIV edizione. Un invito a riflettere sulla simbologiadel treno come metafora del viaggio e delle possibilità di contatto e di arricchimento garantite dalla conoscenza diretta del reale. Il treno come avventura e cambiamento, insomma, come motore disovvertimento del codice dell’ovvio.
I nostri studenti si sono confrontati con entusiasmo e senso critico con questa tematica complessa e ambiziosa e hanno saputo adeguatamente coglierne le sollecitazioni, conseguendo, con l’elaborato di Lucia Ruggieri, della 5^ A del Liceo Scientifico, il primo posto per la sezione saggistica, sezione a cui hanno partecipato circa 150 studenti, provenienti da scuole di tutta Italia.
Il saggio di Lucia è stato valutato dalla commissione in questi termini: “ La trattazione appare ampia ed esauriente e si basa su opportuni riferimenti storici e letterari, organizzati in un discorso originale e corretto per la piena aderenza alla traccia e la completa padronanza del registro stilistico”
L’inclinazione naturale dell’uomo alla conoscenza lo porta ad un costante desiderio di esperire, guardare, sperimentare, o, per utilizzare un’unica parola, viaggiare. Il viaggio è lo strumento tramite cui l’uomo apprende e conosce “de visu”. Questa “buona e sana usanza”, al cui recupero ci esorta Fortunato, sembra essersi perduta nella società attuale: nonostante la globalizzazione, l’abbattimento delle barriere e lo sviluppo dei trasporti, l’uomo moderno non coglie più l’importanza del viaggio e, quindi, non avverte più come propria la necessità del verificare, del vedere. L’uomo si accontenta del vedere tramite l’occhio altrui o, peggio, attraverso un grande occhio che omologa la società, dimenticando che ogni iride, ogni retina percepisce la realtà con sfumature differenti. Venuto meno il filtro d’elezione umano -lo sguardo- compare il “sentito dire”, il “de auditu” di cui Fortunato ci invita a diffidare. Esso è frutto di un graduale indebolimento dell’intera società, che si culla su un sapere fittizio, non più abituata a camminare, e che risolve tutto con un “click” al computer, con qualche diceria da condominio.
Così il viaggio si trasforma in uno svago, in un girovagare annoiato che, nella maggior parte dei casi, porta ad un’erudizione sterile, all’accumulo di notizie che restano estranee a colui che le acquisisce come un automa: si entra nella dimensione domenicale del viaggio, quella che perde ogni sacralità, in cui Dio è precipitato nell’enogastronomia; non più Odisseo, ma turista senza un’Itaca a cui far ritorno. Tornare a casa significa rielaborare l’esperienza vissuta, riflettere su ciò che si è visto, pensare. Il pensiero deve essere il motore di ogni viaggio: è necessario interrogarsi non solo su ciò che si sente, ma anche su ciò che si vede, affinché la visione non si trasformi in un’esperienza passiva e priva di contenuti. Ma se è il pensiero a muovere l’animo umano, allora è possibile viaggiare tramite la mente. Così fece il povero Belluca di Pirandello: aveva sentito il treno fischiare e, all’improvviso, aveva ricordato che, oltre la porta della sua misera la casa, esisteva il mondo intero, la vita vera, e adesso sapeva di poterla vedere tutta in un attimo, visitando qualsiasi città semplicemente pensando ad essa. Questa illuminazione dal sapore misticheggiante insegna quanto il chiudersi nelle convenzioni e nella comune visione dei fatti rischi di relegarci ad un’esistenza banale, in cui la nostra mente (e di conseguenza la nostra anima) non ha modo di svilupparsi, sensibilizzarsi e affinarsi. Si vive, ormai, in un mondo in cui lo sviluppo è avvertito solo come esterno: sono le macchine a trasformarsi, le industrie a perfezionarsi, la tecnologia a migliorare. All’uomo è dato di migliorare solo meccanicamente, accumulando dati, fatti e pettegolezzi perdendo di vista la sua interiorità. Ciò è ben visibile nell’educazione dei giovani e dei bambini. Quando Giovenale scriveva “maximadebeturpueroreverentia” non intendeva certo esortare a dar vita ad automi riveriti, abituati ad uno studio eccessivamente mnemonico e privo di riflessione. Rispettare un giovane significa educarlo alla conoscenza, spingerlo a muoversi con le proprie gambe e, soprattutto, indicargli come meta del viaggio la maturità. Si tratta di uno stadio che non può mai essere raggiunto pienamente, davanti al quale sono necessarie una costante curiosità e una viva attenzione. Questi i due carburanti per il pensiero: la curiosità per approfondire la propria ricerca e l’attenzione per riconoscere il vero, per osservare nei dettagli ciò che si vede.
La riflessione di Giustino Fortunato appare oltremodo attuale: in un mondo in movimento, l’uomo è rimasto immobile davanti ai binari. Quasi nessuno ha trovato il coraggio di salire sul proprio treno, metafora della vita, e di assumersi la responsabilità del vedere e del conoscere. La paura di perdere le proprie certezze, costruite su parole e abitudini, dilaga. Mancano valide figure di intellettuali e viandanti che possano realmente fungere da guida ad un uomo che si è perso in ciò che ha costruito, insegnandogli a recuperare le redini della propria vita. Così potremmo guardare le nuove tecnologie dell’informazione per quello che sono realmente evitando che si sostituiscano all’uomo, l’unico in grado di dialogare con i luoghi più lontani dell’universo e con i più remoti della sua anima.
Il treno della vita ci obbliga alla conoscenza diretta. I treni reali, insieme ad aerei, navi e automobili, ci permettono di non disattendere le aspettative della vita. E se non dovessimo considerare questi mezzi abbastanza veloci per permetterci di “vedere”, in attesa del teletrasporto, lasciamo alla nostra mente il compito di trasportarci ovunque.
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