VIESTE – Scoperto e portato alla luce affresco francescano nell’ex convento dei cappuccini
Scoperto, e portato alla luce, grazie ad un finanziamento del Comune di Vieste, un affresco risalente al 1600, di autore ignoto, rinvenuto nell’ex convento dei frati cappuccini “Beata Vergine degli Angeli”, ed ora sede del museo civico-archeologico cittadino.
Il dipinto murale, posizionato nella “lunetta” di quello che doveva essere originariamente il refettorio dei frati, “rievoca l’episodio di San Francesco che riceve le stimmate. Alle sue spalle, sul lato sinistro della lunetta, è raffigurato San Leone, e a destra si riconosce la riproduzione della chiesa di S. Francesco che è presente sul lato opposto della cittadina di Vieste”.
Si tratta di una importante scoperta e di un altrettanto importante recupero che ha impreziosito ancor più la sede del museo viestano, che continua a crescere e a svilupparsi con nuove attività ed iniziative culturali e con il recupero di nuovi ambienti. Progetti tuttora in itinere e che nei prossimi mesi faranno del nostro museo, intitolato allo storico e ricercatore viestano, “Michele Petrone”, il fulcro del Polo Culturale di Vieste, assieme alla Necropoli della “Salata”, ai resti della villa romana di “Merino”, alla miniera di selce della “Defensola”, alla grotta della “Venere Sosandra” e scavi dell’isolotto del faro, e, a breve, alle grotte paleocristiane di San Nicola di Myra.
Di seguito, vi proponiamo la relazione tecnica di restauro dell’affresco francescano, a cura della restauratrice, Felicia La Viola, e dell’arch. Karen Bianchi, nella quale sono spiegati tutti i passaggi relativi al restauro effettuato.
“La lunetta era ricoperta da uno strato di intonaco che celava un affresco la cui presenza era suggerita da alcune
piccole lacune dell’intonaco sovrammesso e dalla presenza di una fascia di garza applicata su un lembo inferiore dell’affresco. La successiva campagna di saggi di profondità ha confermato la presenza dell’affresco su tutta l’estensione della superficie muraria della lunetta. L’autorizzazione del progetto ha quindi permesso di procedere all’operazione di rimozione meccanica dello strato sovrammesso, mediante martelli da descialbo e spatole metalliche.
Il dipinto, seppur segnato da scalpellature, profonde incisioni e abrasioni, si può ritenere in discrete condizioni. La scena, ambientata in un paesaggio boschivo, rievoca l’episodio di San Francesco che riceve le stimmate. Alle sue spalle, sul lato sinistro della lunetta è raffigurato San Leone e a destra si riconosce la riproduzione della chiesa di S. Francesco che è presente sul lato opposto della cittadina di Vieste.
La rimozione è stata mediamente difficoltosa, lo strato sovrammesso è risultato molto coeso alla superficie solo in corrispondenza delle lacune del dipinto e in corrispondenza delle abrasioni.
Dopo la rimozione dell’intonaco sovrammesso è stato possibile individuare alcuni distacchi, più profondi, dello strato dipinto dalla muratura: questi erano localizzati quasi esclusivamente lungo il bordo inferiore che era stato, non a caso, garzato durante i lavori di ristrutturazione eseguiti in tempi recenti. Altri distacchi, più
superficiali e di minore estensione, erano diffusi nella parte centrale del dipinto, dove sono stati rinvenuti numerosi chiodi forgiati a mano. È evidente che i manufatti siano stati inseriti con lo scopo di ancorare meglio lo strato d’intonaco dipinto alla muratura, e i chiodi utilizzati suggeriscono che i fenomeni di distacco siano di antica data. Invece è inspiegabile la presenza di numerosissimi fori, profondi, che sembrerebbero praticati da chiodi spessi (tipo quelli da carpentiere) ma di cui non v’è alcuna traccia.
Altro dato interessante è costituito dai frammenti di intonaco dipinto, in continuità con l’affresco rinvenuto, presenti sul limite della lunetta – lungo tutto il bordo superiore – che suggeriscono la continuità del dipinto sulla volta. Le tracce, seppur colorate, sono troppo esigue per poter suggerire un’ipotetica raffigurazione.
Alcune porzioni del dipinto, prospicienti la fascia garzata e a ridosso del limite inferiore, sono risultate molto abrase e la cornice dipinta, che circoscrive la lunetta (di colore ocra e bruno), è chiaramente interrotta.
Intervento di restauro.
Il fenomeno dei distacchi, più profondi ed estesi, è stato arginato iniettando nei fori (già presenti nella superficie pittorica), una malta premiscelata a base di calce, specifica per dipinti murali;
invece, nei distacchi più superficiali è stata applicata a pennello la resina acrilica Acril ME, in soluzione acquosa al 5%. La soluzione è stata applicata anche sulle porzioni d’affresco che presentavano abrasioni o pellicola pittorica poco coesa. Dopo aver stabilizzato la superficie pittorica si è proceduto alla rifinitura della pulitura, mediante bisturi, per la rimozione degli strati sottili di calcina più coesi alla superficie pittorica.
Successivamente, il dipinto è stato sottoposto ad un lavaggio eseguito tamponando la superficie con spugne imbibite di acqua demineralizzata. Di seguito sono stati occlusi i numerosi fori e le lacune con malta, a base di calce idraulica ed inerti; quest’ultima operazione, data l’estensione della superficie, è stata realizzata sottolivello. Dopo aver ridotto l’impatto visivo delle lacune, alcune delle quali rivelavano la tessitura muraria, si è intervenuti con la riduzione delle interferenze date dalle numerose abrasioni, tramite velature ad acquerello. Dopo aver reso più omogenea la percezione della raffigurazione si è intervenuti sulle numerose scalpellature, (realizzate per far ancorare il nuovo strato d’intonaco) sul cui fondo c’erano strati di calcina carbonatati. La velatura ad acquerello ha consentito di ridurre lo sgradevole impatto visivo pur conservandone i profondi segni nella muratura. Infine, sulla superficie, è stato applicato un film di protezione a base di resina acrilica in solvente acetone al 3%. I chiodi forgiati non sono stati estratti per due ragioni: perché molto coesi alla superficie pittorica e allo strato di intonaco (l’estrazione avrebbe comportato la perdita della superficie attigua), e perché testimonianza di un intervento antico e per cui storicizzato; quindi, la superficie a vista dei chiodi è stata trattata con convertitore di ruggine alfine di arrestare, per quanto possibile, il processo di ossidazione del metallo.
Precisazioni
Come riportato nel progetto di restauro, la parte inferiore del dipinto, era stata garzata per circa venti cm di altezza e ottanta di lunghezza. Il velatino fu applicato al fine di proteggere una porzione dell’affresco che emergeva da sotto lo strato d’intonaco; l’operazione, seppur eseguita con le migliori intenzioni (fermo restando che si tratta di un’operazione di messa in sicurezza, e quindi da considerarsi temporanea) è risultata, a distanza
di anni, una pessima scelta: la garza, applicata con sostanze acriliche (probabilmente Paraloid ad alta concentrazione), ha aderito molto bene alla superficie dipinta, ma col tempo, lo strato (irrigidito dall’eccessiva resina) si è staccato dall’intonaco causando lo strappo della superficie pittorica. In questo intervento si è cercato di recuperare il dipinto nella sua integrità raffigurativa provando a riposizionare lo strato sottilissimo (saldamente attaccato alla garza) alla superficie di intonaco originario, ma senza alcun risultato: poiché lo strato pittorico attaccato alla garza è estremamente esiguo, questo è stato dapprima consolidato – in maniera puntuale, a pennello – con resina acrilica in soluzione acquosa poi, da tergo, è stato applicato uno strato di malta al fine di ispessire e saldare i frammenti di colore nonché consentire una più agevole manipolazione per il riposizionamento del frammento nella sede originaria. Benché si sia riusciti a far aderire lo strato all’intonaco originale, di fatto è risultato impossibile separare la garza dal film pittorico. Ogni tentativo effettuato per mezzo di solventi o assottigliando la garza tramite un bisturi, comportava la perdita di frammenti. Pertanto, si è scelto di rinunciare all’impresa, staccare lo strato di garza dal paramento murario e conservare il lembo con i frammenti di colore”.
Relazione tecnica di restauro a cura della restauratrice Felicia La Viola e dell’arch. Karen Bianchi