“Oggi, sono in tanti coloro che parlano, a volte anche a sproposito, di migrazioni. Anche noi proveremo a presentare alcuni tratti di questa complessa realtà seguendo l’invito di papa Francesco che, nel messaggio per la pace del 2018, afferma: «Tutti gli elementi di cui dispone la comunità internazionale indicano che le migrazioni globali continueranno a segnare il nostro futuro. Alcuni le considerano una minaccia. Io, invece, vi invito a guardarle con uno sguardo carico di fiducia, come opportunità per costruire un futuro di pace».
In effetti, se la mobilità umana è il denominatore comune della nostra società, di ogni società, passata, presente e futura, l’oggi migratorio continua a parlare di spostamenti umani, di persone che lasciano (o sono costrette a lasciare) i loro paesi con la prospettiva di morire alle frontiere del mondo – nel deserto del Sahara, nel Mediterraneo o al confine tra Messico e Stati Uniti-, o di essere rimpatriati o di ingrossare le fila dei “clandestini” nei paesi di arrivo. A tal proposito, non è vano ricordare che dall’ottobre 2013, quando al largo di Lampedusa naufragarono 368 migranti, ad oggi, i barconi continuano ad affondare e a riempire il Mediterraneo di oltre 25mila cadaveri. Anche nel “futuro prossimo” migratorio, l’ONU prevede che i cambiamenti climatici causeranno un miliardo di rifugiati entro il 2050, a causa di conflitti e minacce ai diritti umani, catastrofi naturali, surriscaldamento del pianeta, restrizioni nell’accesso all’acqua o penuria alimentare dato che, già a fine 2021, 828 milioni di persone (10% della popolazione mondiale) soffrivano la fame nel mondo.
Parlare oggi di migrazioni senza eccedere in semplificazioni e stereotipi che addebitano a migranti e rifugiati, regolari o irregolari, la responsabilità di ogni male sociale, economico, politico, culturale o ambientale non è scontato. E la semplice affermazione che i migranti non sono numeri, ma esseri umani, portatori, come tutti, di qualità e limiti, scatena una serie di reazioni scomposte tra cui l’accusa di “buonismo”, di non capire la realtà e di non voler occuparsi “prima e solo” degli “italiani” o dei “nazionali” di ogni Paese, anch’essi bisognosi…
In realtà, gli atteggiamenti di chiusura e rifiuto sono, spesso, motivati da idee preconcette e superficiali circa un fenomeno complesso come quello della mobilità umana, della convivenza interetnica e del dialogo interculturale, di cui vogliamo qui tracciare un primo quadro generale. Innanzitutto, riaffermiamo che le migrazioni sono una costante della storia umana, che gli esseri umani hanno sempre migrato e continueranno a farlo, che non vi è epoca storica che non abbia conosciuto movimenti migratori, né area del pianeta che non ne sia stata investita e che gli spostamenti di popolazioni, il mescolarsi di uomini e culture, sono stati, e sono, la regola dell’evoluzione umana, non l’eccezione.
In secondo luogo, se il fenomeno migratorio antico e medioevale può essere descritto soprattutto come “spostamenti” (pacifici e/o conflittuali) di popoli (anche se non mancano migrazioni individuali) e quello moderno e contemporaneo come migrazioni soprattutto di individui (anche se spesso la decisione di emigrare è presa collettivamente da famiglie o villaggi interi) è comunque impensabile separare nettamente queste diverse forme di migrazioni. Anche le migrazioni moderne riproducono schemi precedenti come quelli legati alla dinamica migrazione/invasione, per esempio, nel processo di conquista e colonizzazione delle Americhe, e alla diffusione della schiavitù, popolando le Americhe con moltissimi schiavi africani.
In terzo luogo, la trasformazione mondiale del mercato del lavoro attira notevole quantità di mano d’opera come avvenuto con la grande emigrazione dell’Europa al momento della prima rivoluzione industriale. Dal 1815 al 1840, 70 milioni di persone cambiano continente, provenienti (per 9/10) dall’Europa in piena crescita demografica (da 150 a 220 mln di persone). Dal 1840 al 1914 circa 100 milioni di Europei migrano in un altro continente, fin quando le politiche restrittive verso gli immigrati (soprattutto Asiatici) e la grande depressione economica (1929) ne rallentano i flussi. In valori assoluti, se dal 1825 al 1940 sono partiti dalle Isole britanniche
quasi 21 milioni di migranti soprattutto verso gli Stati Uniti; anche l’emigrazione italiana ha prodotto dall’unità d’Italia (1860) al 1977 circa 30 milioni di emigranti in tutto il mondo. La fine della Seconda guerra mondiale produce in Europa nuovi confini nazionali, nuove realtà politiche e due consistenti movimenti migratori: quelli all’interno dello spazio europeo e quelli verso altri continenti. Dal 1945 al 1973, l’Europa occidentale conosce la più lunga espansione economica della sua storia. In questo periodo, le migrazioni interne europee e quelle provenienti da paesi dell’altra sponda del Mediterraneo sono le ultime migrazioni generatedalla mancanza di manodopera e dal deficit demografico, dall’internazionalizzazione del mercato del lavoro, e favorite dall’abbandono delle politiche protezionistiche del periodo precedente. La recessione dei primi anni 1970 e la crisi petrolifera del 1973 sanciscono la sospensione dell’ingresso di lavoratori migranti in Europa. La migrazione da lavoro viene quindigradualmente sostituita dalla migrazione legata ai ricongiungimenti familiari e ai matrimoni, passaggio questo che modifica le caratteristiche dei flussi migratori e delle popolazioni di immigrati residenti all’estero che diventano più omogenee in termini di composizione per sesso, età e status socioeconomico.
In terzo luogo, è utile ribadire che il mondo della mobilità è una galassia che include una pluralità di aspetti, problematiche e approcci, non ultimo, come ricordava Papa Francesco, quello di considerare l’esperienza migratoria come costruzione di nuove opportunità di vita negate nel proprio paese d’origine o percepite come non raggiungibili in un determinato luogo. In tale prospettiva la migrazione diventa progetto di vita e percorso nel quale il migrante porta con sé un bagaglio culturale, formativo, esperienziale, valoriale. E secondo i dati dell’ONU, queste persone migranti, che spesso ci fanno paura, sono oggi nel mondo 281 milioni (di cui 135 milioni di donne), vale a dire il 3,6% della popolazione mondiale. Più che una minaccia, un’opportunità se riusciamo a trovare nelle nostre società le chiavi per una convivenza plurale e accogliente, come auspicato da San Giovanni Battista Scalabrini”.
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