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VIESTE – Settanta anni fa moriva don Antonio Spalatro, messa e adorazione stasera al SS. Sacramento

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Il 27 agosto del 1954, quindi settanta anni fa, moriva, intono alle 10 del mattino, don Antonio Spalatro. Aveva solo 28 anni, ma la sua fama di santità era già percepita dal popolo di Vieste, che gli voleva bene e che lui amava profondamente, donandosi materialmente e spiritualmente.
Per questa occasione, tempo di vera grazia, don Tonino Baldi, parroco del SS. Sacramento (la stessa chiesa in cui, per pochi anni, fu parroco don Antonio Spalatro), nell’annunciare la celebrazione della Santa Messa, alle ore 19, presieduta dal nostro arcivescovo, padre Franco Moscone, così scrive: “Quando don Antonio morì, tantissima gente arrivò, la notte, in chiesa a vegliare il corpo di don Antonio, anche i bambini, e ci fu un mesto pellegrinaggio per tutta la notte. Settant’anni dopo vogliamo vegliare, almeno per un’ora, in adorazione e ringrazieremo, il Signore per questo grande dono fatto a tutti noi. Ore 21,00. Durante l’adorazione ascolteremo anche la testimonianza degli ultimi giorni e momenti di vita di Don Antonio e parte delle lettere scritte da don Antonio dall’ospedale. Inoltre, ascolteremo ciò che don Antonio pensa della morte. Aveva solo venti anni e scriveva che non bisogna temere la morte perché attraverso la morte si entra nella vita. Era un’anima santa davvero sin dalla nascita”.
Ecco cosa scriveva sulla morte, a vent’anni, il Servo di Dio, don Antonio Spalatro:
“La richiesta e la presenza della sofferenza nella vita dei santi è una costante, che suscita dubbi e difficoltà nel giudizio. Ma perché chiedere o soffrire quando l’uomo è fatto per essere felice? Quando sentiamo o leggiamo che i santi chiedono e spesso si procurano sofferenze, ci disorientiamo, non capiamo, perché la sofferenza è già così presente nella vita quotidiana. La fatica del vivere è la sofferenza più grande che l’uomo deve affrontare per spingere in avanti la vita. È sofferenza gratuita, è masochismo. No, la sofferenza nella vita del santo è tentativo di assimilarsi al Cristo sofferente per contribuire alla santità della Chiesa. È sofferenza che santifica la volontà e la innesta in Cristo Crocifisso per renderla feconda, generatrice di santità per sé e per il mondo. La sofferenza è un mezzo di santificazione necessaria. Il discorsi è difficile a comprendersi, per chi non entra in questa logica, pur affermando che la fatica quotidiana supplisce speso alla sofferenza richiesta per la santità e il controllo della volontà. Sorprende in don Antonio la richiesta continua di supplementi di sofferenza per sentirsi con Cristo Adoratore, Riparatore – Redentore. Senza la sofferenza diventa impossibile vivere questo ideale. E Dio ascolta l’anima che prega, che chiede sofferenza. Tutti gli scritti di don Antonio contengono questa richiesta di sofferenza, che si fa più intensa e circostanziata in prossimità dell’incontro definitivo con Gesù nell’ordinazione sacerdotale. “Sento di dove chiedere nella Prima Messa, come grazia che Gesù concede necessariamente al suo novo sacerdote, quella di dover soffrire, soffrire molto per poter convertire le anime”. (5 agosto 1949) ”Ho chiesto a Gesù che ogni gioia della terra mi diventi amara”. (10 agosto 1949) “Fate, o Gesù, che la mia immolazione sia effettiva, sia vera, fate, o Gesù, che soffra, che ogni gioia della terra, mi diventi amara”. (14 agosto 1949) E Gesù, manco a dirlo, l’ha preso in parola. Ha sofferto fino all’ultimo. “Comincio da oggi, fate che finisca l’ultimo giorno della mia vita” (5 agosto 1949) Il coraggio della fede”.

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